RECENSIONE ESCLUSIVA DEL DOCUMENTARIO: L'VIV - NAPOLI

"Il racconto autentico della guerra"

VOTO 4/5

Un documentario di Fabio Izzo
Durata: 24 minuti – Lingue: Italiano, Ucraino (sottotitoli in inglese)

 

In L’viv–Napoli: The Music That Echoed Back, Fabio Izzo ci conduce in un viaggio essenziale e potentissimo tra le rovine della guerra e le armonie della memoria. Armato solo di tre vecchi cellulari, il regista parte per l’Ucraina, senza troupe né sceneggiatura, spinto dal bisogno di ritrovare un senso — umano e artistico — dopo aver raccontato la stessa terra in un suo libro precedente. Ciò che nasce da questa scelta radicale è un film sincero, vero, dove il gesto del filmare diventa un atto di resistenza.

Sin dai primi fotogrammi, il documentario alterna il rumore sordo della guerra alla dolcezza inattesa di una melodia napoletana suonata in una piazza di Leopoli. È la stessa musica che Izzo ricordava dall’infanzia, legata alla figura della nonna: un ponte emotivo che unisce due terre apparentemente lontane — Napoli e l’Ucraina — ma in realtà accomunate da un destino di ferite e rinascite.
Nel contrasto tra la sirena di guerra e la sirena mitologica Partenope, il film trova la sua cifra poetica: due richiami che si rispondono a distanza, uno di morte, l’altro di bellezza.

Izzo sceglie uno sguardo asciutto, quasi diaristico, che mescola osservazione diretta e riflessione personale. Le immagini, girate con mezzi poveri ma grande sensibilità visiva, restituiscono la sensazione di essere lì — tra la paura e la speranza — più che di assistere a un racconto costruito. Non c’è retorica, non c’è pietismo, solo la consapevolezza che “non può esistere un bel film sulla guerra, perché la guerra è brutta”, come afferma lo stesso autore.
Eppure, nel silenzio tra un allarme e l’altro, la musica riemerge come un linguaggio universale: quello che unisce i popoli, consola e ricorda.

Il film si muove con delicatezza tra documentario e poesia visiva. Le testimonianze raccolte in presa diretta — musicisti di strada, cittadini, volontari — sono frammenti di un mosaico umano che si compone lentamente, fino a formare un canto collettivo. Nonostante la durata breve, L’viv–Napoli riesce a evocare un mondo intero: quello della memoria che resiste, anche quando tutto intorno sembra perdersi.

Sul piano formale, la regia minimale diventa la chiave della sua forza espressiva. Ogni imperfezione — un’inquadratura tremolante, un suono sporco — si trasforma in autenticità. La voce del regista, più che narratore, è testimone: guida lo spettatore dentro un’esperienza personale che diventa universale.

Fabio Izzo, scrittore e traduttore di lunga esperienza, al suo esordio cinematografico dimostra una sorprendente maturità di linguaggio. La sua cultura letteraria si percepisce nella costruzione ritmica del film, nel montaggio evocativo, nell’uso della parola come controcanto visivo.
Non stupisce quindi che L’viv–Napoli: The Music That Echoed Back abbia già ottenuto riconoscimenti importanti — tra cui Best First Time Director al Madonie Film Festival (Palermo), Best Short Documentary all’East Village New York Film Festival e una Honorable Mention ad Atene — segnali di una sensibilità autoriale rara, capace di parlare al pubblico internazionale senza rinunciare alla propria radice mediterranea.

In un’epoca in cui la guerra viene spesso spettacolarizzata, Izzo compie l’operazione inversa: spoglia l’immagine, riduce il mezzo, amplifica il senso.
Ne nasce un film che non cerca di commuovere, ma di risvegliare: la consapevolezza che anche nel rumore assordante della distruzione può ancora risuonare una musica antica, una voce che attraversa i secoli e torna indietro, come un’eco.

Un piccolo grande film che sa guardare il dolore, ma anche la possibilità della bellezza.

 

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