FILIPPO TAMBURINI: L'INTERVISTA
"IL REGISTA CHE NON FA SCONTI A NESSUNO: CON RUGGINE COMUNICA UNA REALTA' CHE NESSUNO DICE"
BIOGRAFIA:
Filippo Tamburini nasce a Firenze nel 1993. Dopo la laurea magistrale in storia e critica del cinema, si diploma in regia e sceneggiatura alla Roma Film Academy. Dal 2020 dirige videoclip musicali, documentari e cortometraggi. Il corto di diploma “Una storia d’amore” riscuote riconoscimenti a festival nazionali ed internazionali fra i quali, il “Pompei street cinema festival” e “Milazzo film festival”. Nel 2023 dirige il corto “Soluzioni alternative” ottenendo menzioni e premi come al “Coffie film festival” e all’ ”Hexagon film festival”. Nel 2024 dirige “Lucky Losers” vincitore al “Ferrara Film Festival” e al “Wolf Film Festival”. Nei suoi lavori, cerca di coniugare il cinema di genere con temi sociali di attualità come sfruttamento, ossessioni ed incapacità dell’individuo di superare le proprie difficoltà, proponendo una visione dissacrante della realtà.
1. Cosa ti ha spinto davvero verso la regia? Un momento preciso o una serie di coincidenze?
Sono stato spinto verso la regia perché fin da piccolo, ho sempre avuto la necessità di raccontare storie e ben presto ho capito che il cinema era il mezzo che più di ogni altro mi dava la possibilità di esprimermi.
2. Nel tuo percorso tra videoclip, documentari e corti: qual è stato l’errore più utile che hai fatto?
Non so quale sia stato l’errore più utile, ma penso che sia stato importante mettersi alla prova con diversi linguaggi per sbagliare e migliorare.
3. Hai studiato storia e critica del cinema: quanto quella formazione influenza le tue scelte da regista oggi?
Molto, perché avere studiato prima il linguaggio del cinema mi ha permesso di avere una coscienza su quello che volevo comunicare, attraverso una scelta piuttosto di un’altra. È importante conoscere il mezzo con il quale ci si vuole esprimere e saperne le regole formali e la storia, ti permette di non fermarsi ad uno strato superficiale.
4. Nelle tue opere ritorna spesso l’incapacità dell’individuo di superare i propri limiti. È un tema che ti appartiene personalmente?
Penso che sia un tema che accomuna un po’ tutti. Tendenzialmente i nostri limiti diventano una gabbia e l’incapacità di superarli, rivela i cortocircuiti che caratterizzano la nostra esistenza.
5. “Dissacrante” è una parola forte: quali sono i tabù che ti interessa rompere nel tuo cinema?
Mi interessa mostrare come le fragilità ci accomunino sviscerandole nella loro banalità.
6. Qual è il compromesso più duro che hai affrontato in un set?
Sul set di solito l’unico compromesso con cui devo sempre scendere a patti è il tempo. Come ogni regista vorrei avere sempre più tempo per raccontare le mie storie, ma cerco di viverlo come uno stimolo per tirare fuori il massimo con quello che ho.
7. C’è un film o un autore che ti ha segnato al punto da cambiarti la traiettoria?
Ci sono diversi film e alcuni autori in particolare che hanno orientato la mia visione non cambiandola drasticamente, ma aiutandomi a capire cosa mi “accendeva”. Ad esempio su tutti mi sento di citare Leone, Scorsese e Kubrick.
8. Ti senti più regista o più sceneggiatore? E perché?
Mi sento equamente regista e sceneggiatore perché di solito dirigo le storie che scrivo anche se sono aperto sia a scrivere per altri, che a dirigere cose non scritte da me.
9. Sei giovane ma hai già una filmografia varia: senti che ti manca qualcosa nel tuo percorso professionale, oppure sei già soddisfatto di dove sei arrivato?
No assolutamente sono solo partito, sicuramente il primo obbiettivo importante che voglio raggiungere è quello di esordire con il lungometraggio e anche a quel punto non sarei sicuramente soddisfatto, ma fisserei nuovi obbiettivi.
10. Da dove nasce l’idea di Ruggine? C’è un fatto reale che ti ha colpito o è nato da un’urgenza personale?
Ruggine nasce da una concomitanza di cose: da un lato c’è l’urgenza di prendere una posizione rispetto ad un problema, quello del “caporalato”, che affligge l’Italia da più di vent’anni. Dall’altro lo scorso anno, quando ho scritto la prima stesura del soggetto, c’ era stato un caso eclatante (la morte di Satnam Singh, un bracciante lasciato morire dopo un incidente sul lavoro in un campo) che mi ha particolarmente fatto arrabbiare ed indispettire. Uniti a questi due aspetti, l’idea di raccontare e criticare la sopraffazione dell’uno sull’altro è stato poi il motore che ha mosso la narrazione.
11. Perché un neo-western per raccontare il caporalato? Cosa ti dava quel linguaggio che altri generi non offrivano?
Se prendiamo alcuni dei grandi film del genere, dal western classico fino ad una rilettura più contemporanea, vediamo come i temi sociali di sopraffazione e di schiavitù siano alla base della narrazione. Oltre a questo, penso che il western sia uno dei generi che più di altri racconta la relazione fra l’uomo e la natura. Unendo questi aspetti, mi sono reso conto che la forza espressiva che riuscivo a raggiungere con il western era esattamente il modo in cui lo volevo comunicare.
12. Gas è un personaggio che vive nella zona grigia. Cosa ti interessava indagare di lui?
Mi interessava riflettere in lui una società che vive e che si muove nella zona grigia perché non contempla nessun altra strada.
13. Il film parla chiaramente di complicità e silenzio: quanto ti riguarda come tema?
Mi riguarda in quanto il problema tocca tutti, specie nel momento in cui pensiamo di poter far finta di niente.
14. La scelta delle location a Piombino è molto precisa. Cosa avevi bisogno che il territorio trasmettesse?
Avevo bisogno di raccontare un territorio che si prestasse al mondo che volevo raccontare. Essendo di Piombino, sapevo dove andare a trovare determinate situazioni. Ad esempio il tramonto di inizio estate con i colori aranciati, gli acquitrini e i campi coltivati. In particolare ho scelto di dargli una connotazione toscana perché, purtroppo, essendo il caporalato una piaga che colpisce tutta l’Italia, volevo uscire dal cliché che il caporalato sia un problema solo del sud Italia.
15. Il film ha un sottotesto politico evidente, ma non predica. Come hai mantenuto l’equilibrio?
Ho cercato di creare un equilibrio fra le “regole” del film di genere e il rispetto del tema di cui ho parlato.
16. Sul set: qual è stato il momento in cui hai avuto la sensazione che il film stesse prendendo la giusta direzione?
Quando ho visto che tutte le persone che ci stavano lavorando, andavano nella stessa direzione.
17. Il titolo Ruggine suggerisce qualcosa che corrode lentamente. Come mai la scelta di questo titolo?
Perché non dobbiamo lasciar corrodere la nostra umanità. Non dobbiamo far sì che neanche un punto di ruggine possa attecchire, perché la ruggine ha come caratteristica quello di mangiarsi tutto se non recidi la parte interessata. Visto che ho deciso di parlare di persone che hanno completamente perso la loro umanità, corrosi dall’odio e dai soldi, il titolo “Ruggine” è venuto fuori da solo.
18. Cosa speri che il pubblico provi alla fine: disagio, rabbia, senso di responsabilità?
Spero che si fermi un attimo a pensare a cosa possiamo fare nel nostro piccolo, per evitare di finire in un corto circuito infinito.
19. C’è una scena o una scelta che hai difeso con le unghie contro qualsiasi compromesso?
No, fortunatamente no.
20. Se stai lavorando a dei progetti futuri, Cosa ci puoi anticipare per i nostri lettori?
Ho in programma di provare ad ampliare la storia di Ruggine perché penso che si possa ancora andare più a fondo e spero di poterla condividere molto presto.
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Commenti
Bravissimo Filippo,sei un ragazzo sensibile e intelligente. Non fermarti mai! 💖 👏. In un mondo pieno di cattiveria ci dimostri che l'UMANITÀ ripaga... W il cinema e le storie che riescono a far riflettere 🎬