ALVISE SENATORE: L'INTERVISTA

"IL CINEMA HA SCELTO ME: UN VIAGGIO NELL'ANIMA DI ALVISE SENATORE, UN GIOVANE REGISTA FRIULANO"

BIOGRAFIA:

Alvise Senatore (classe 2002) è un giovane regista friulano, nato in una terra che, pur non essendo tradizionalmente legata al mondo dell’arte, gli ha offerto un ricco humus naturalistico e umano da cui trarre profonda ispirazione. Dopo aver concluso gli studi tra liceo classico e scienze umane, spinto dalla passione per la psicologia, la letteratura e soprattutto il cinema, ha intrapreso un percorso professionale che lo ha portato prima nel mondo delle vendite — esperienze che gli hanno permesso di viaggiare in tutta Italia e vivere da solo fin da giovanissimo — e poi, in modo definitivo, nella regia.
Trasferitosi a Roma per frequentare RUFA (Rome University of Fine Arts), Alvise ha iniziato a lavorare su vari set cinematografici, affiancando professionisti e costruendo passo dopo passo il proprio percorso autoriale. Tra la primavera e l’estate del 2024 ha firmato la regia dei suoi primi due cortometraggi, per poi prendere parte, come Aiuto Regia, al progetto Manhattan, Italia di Natasha. Attualmente lavora stabilmente nel reparto regia, mentre sviluppa un progetto personale di grande valore artistico, ancora tenuto volutamente riservato.

L'INTERVISTA.


1. Sei entrato in un progetto già avviato come supporto alla regia in Manhattan, Italia. Qual è stato il tuo approccio per integrarti e contribuire in maniera efficace?
Essere un regista mi permette di capire come ragiona e di cosa ha bisogno realmente ogni persona che mi capiti di affiancare come aiuto regia. Insomma, cerco di essere l’aiuto regia che io stesso vorrei al mio fianco.
Ogni regista pensa in maniera diversa e ogni progetto ha bisogni differenti. Il primo passo è sempre comprendere tali dinamiche e assumere il punto di vista più congeniale allo spirito dell’opera, mantenendosi al tempo stesso critici e realisti. Ho tenuto a confrontarmi ampiamente con Natasha e Karolay per comprendere cosa volessero realizzare e aiutarle a metterlo in pratica. Ho quindi contattato altri collaboratori per completare la troupe, e preparato il piano di riprese più congeniale per incastrare necessità artistiche e pratiche con i mezzi a nostra disposizione, per poi mettere in pratica questo piano sul set.


2. Hai studiato psicologia e letteratura: come ti aiutano queste discipline nel tuo lavoro di regista?
Sono profondamente convinto che il cinema sia psicologia e letteratura messe in pratica. Invece di lasciare quelle filosofie, quelle dinamiche umane, come parole stampate su carta, il cinema punta anzitutto a farle vivere sulla pelle dello spettatore come esperienze impattanti, immersive, più vere che mai.
Entrambe queste discipline forniscono una sguardo più approfondito sull’essere umano, e dí umanità parla il cinema: sapere come funziona la catena di azioni-reazioni emotive di un essere umano permette di costruire un tipo di narrazione coerente con ciò che vogliamo esprimere. In quanto alla letteratura, vedo nel cinema una forma di letteratura evoluta, dunque leggere e guardare film è praticamente lo stesso tipo di stimolo per me: se racconti storie, dovresti innanzitutto amare le storie, e notare come l’essere umano, sin dall’Epopea di Gilgamesh, abbia sicuramente evoluto i propri miti, le proprie strutture metaforiche, ma abbia sempre cantato il senso di tali storie con lo stesso cuore. Raccontare storie per comprendere al meglio sè stessi è un istinto che è sempre stato e sarà sempre presente nella natura umana.


3. Cosa significa per te fare cinema oggi, soprattutto in un contesto indipendente?
La base deve essere la stessa di quando scrivevi poesie in cameretta: non sai dove andranno, ma poco importa, perché le stai scrivendo innanzitutto per te stesso. Ovviamente il cinema è un’arte per definizione popolare, che punta a raggiungere un pubblico il più ampio possibile, e questo, in Italia, significa doversi costruire da soli, passo dopo passo, scelta dopo scelta. È la sfida di attraversare una jungla che molto spesso ti farà sentire solo,
ma tutto quello che puoi fare è continuare imperterrito a ululare cercando il tuo branco. E piano piano, i gruppi si formano, le persone si uniscono e sostengono a vicenda, e la salita diviene sempre meno ripida. C’è tanta fame oggi, nel cinema indipendente italiano. È quella fame ciò a cui dobbiamo attingere, sarà quella fame a farci vincere.


4. Puoi anticiparci qualcosa sul tuo prossimo progetto personale? (Anche un piccolo indizio!)
Tendo a non parlare mai pubblicamente di qualcosa che ancora devo finire di fare, posso solo dire che è sicuramente il progetto più grosso e più importante che abbia mai portato la mia firma E’ a tutti gli effetti il mio manifesto artistico. A dicembre ne saprete di più.


5. Che cosa ti ha spinto, davvero, a rincorrere la strada del cinema?
Come spiegavo prima, fare arte non è una scelta, ma un’esigenza, un richiamo atavico, un fiume sotterraneo che scava dentro di te fino a sgorgare in superficie nella più completa spontaneità. È così per tutti, a variare fra una persona artistica e un’altra è solo la forma espressiva prediletta. Io ho scelto il cinema perché il cinema ha scelto me, mi ha cresciuto, mi ha aperto gli occhi, mi ha fatto vedere limpidamente tutto il potenziale dell’arte più completa che esista a mio avviso. Ho un debito da restituire al cinema, per ciò che il cinema ha fatto a me. Non è stata una scelta: è l’unica cosa che avrei potuto mai fare.


6. Il Friuli, con la sua assenza di “mercato artistico”, è una condanna? Oppure è stata una tappa fondamentale del tuo percorso professionale? Cosa consiglieresti a tutti i ragazzi che aspirano al mondo del cinema che nascono in territori carenti in questo settore?
Non ho mai pensato che avrei vissuto la vita adulta in Friuli, men che meno che vi avrei fatto arte. Al Friuli sono legati tutti i miei ricordi d'infanzia e adolescenza (che inevitabilmente influenzano la mente di qualsiasi artista), ma ho sempre saputo che ne avrei solo attinto ciò che poteva donarmi, per poi esprimere ciò che ne scaturiva su differenti palcoscenici.
Ciononostante, in Friuli esiste una corrente di giovani artisti fra le più sentite che abbia mai visto, un underground brulicante forse proprio in risposta alla noia dell’osservare il nulla non cambiare mai. Più un giovane artista viene zittito, più forte brucia quella fiamma che gli fa venir voglia di gridare più forte. A tutti questi giovani, del Friuli o di contesti simili, io dico: prendetevi sul serio, cercatevi e unitevi, poi restate compatti. Fate scelte consapevoli mettendo sempre l’arte al primo posto: siete voi il nuovo vento. E sicuramente, non arrendetevi mai in partenza, avete fra le mani tutto ciò che conta veramente per sbocciare.


7. RUFA e Roma: quanto ti hanno realmente dato e ti sei pentito di questa scelta? Se SI, ci racconti un momento in cui hai pensato: “Forse ho sbagliato tutto”?
No, la fatidica domanda “ma chi me l’ha fatto fare?” non è mai sorta, ma questo perché nè Roma né la Rufa sono mai state il mio punto cruciale. È tutto fra le mie mani, è una mia scelta frequentare un contesto o meno, a seconda di ciò che più può accrescermi in quel momento. Mi sono sempre dato la libertà di cambiare sentiero, pur di seguire unicamente la mia via. Entrambi questi contesti mi hanno dato tanto, ma parzialmente: non ho mai ignorato i loro problemi, ma li ho affrontati, e superati o evitati alla mia maniera. Non sarà un’accademia di cinema a renderti un regista: può al massimo insegnarti che leghe di metallo fondere per creare una chiave, ma trovare e aprire la porta dipende solo da te.


8. I tuoi primi corti: cosa raccontano, e cosa dicono di te che non diresti mai a parole?
Il mio cinema parla soprattutto di sensazioni, emozioni e “dark matter” (materiale psico-emotivo appartenente ad aree della mente non-consce), con l’obbiettivo costante di diventare specchio di un determinato lato umano presente in ognuno di noi (quindi in ogni spettatore): e a far da specchio è un sistema metaforico e narrativo ben congegnato. Nei miei corti cerco di trasmettere questo, non parlo della mia vita, ma di ciò che ho compreso grazie alla vita riguardo a determinate dinamiche umane: dal nocciolo di tali consapevolezze creo il sistema per trasmetterlo a sua volta allo spettatore, creando un percorso immedesimavo che lo possa portare a giungere al mio stesso concetto passo dopo passo.
C’è molto di me in tutte le mie opere, ci sono la pancia e il cuore, c’è l’esorcizzazione di cose enormi che ho vissuto, ed è liberatorio realizzare quanto commovente mostrare tutto ciò. I miei corti non raccontano ciò ho vissuto: raccontano ciò che ho provato, attraverso una forma espressiva che mi rispecchi in quanto umano, e di conseguenza, possa rispecchiare ogni mio simile in maniera implicita e diretta.


9. Psicologia, letteratura e cinema: come si fondono nel tuo modo di scrivere e dirigere?
Se mai mi chiedessero “a chi ti sei ispirato per fare questo film?”, la mia risposta più probabile sarebbe: “Consciamente, a nessuno (ho abbastanza rispetto dell’arte per non mascherarmi dietro a idoli ma restare fedele al mio personale estro) inconsciamente, a qualsiasi opera d’arte, stimolo o fonte con cui sia mai giunto in contatto”. Perché così funziona la mente umana. Inevitabilmente, ogni forma letteraria e cinematografica che abbia mai assorbito ha plasmato il mio modo di pensare, di immaginare, di scrivere storie, così come qualsiasi nozione filosofica e psicologica. Il cinema è fondamentalmente manipolazione emotiva dello spettatore (come la pubblicità, ma con fine di accrescimento e non di lucro) e in questo, conoscere il funzionamento della mente umana è fondamentale. Al tempo stesso, sono profondamente legato al realismo psicologico, e ancora, al misticismo, al simbolismo, alla poesia e alla metafora. Cerco di creare opere che siano immedesimative per lo spettatore, e al tempo stesso, che lo conducano in quella danza catartica tipica della letteratura. Alla fine dei conti, porto lo spettatore al mio punto di vista, condivido la mia visione interiore con lui, mediante una storia, piuttosto che una conferenza.


10. C’è un regista o un film che ti ha spinto a diventare quello che sei? E uno che invece tutti amano ma tu proprio no?
“Il grande Dittatore” di Charlie Chaplin è esattamente l’emblema del senso di fare cinema per me. Come quello, ci sono tanti film che mi hanno fatto sentire capito a tal punto da sprigionare in me il coraggio di far sentire la mia voce, troppi per menzionarli tutti. I cinema di Villeneuve, Aronovsky, Tarkovsky… Riguardo alla seconda parte della domanda, ho alcune opinioni abbastanza controcorrente, mi limiterò quindi a dire solo la più pericolosa: Martin Scorsese. Con lui ho un rapporto combattuto, dove determinati film mi colpiscono molto mentre altri li trovo esageratamente sopravvalutati solo per la firma che portano. Per sopportarlo, lo sopporto ampiamente, ma non mi rispecchio nel suo stile e non trovo sempre interessanti le sue scelte tematiche.


11. Il cinema italiano oggi: sta rinascendo o è morto e sepolto sotto la retorica del “nuovo realismo”? Cosa cambieresti del nuovo panorama cinematografico?
Se c’è una cosa che la storia umana insegna è che l’arte non muore mai; al massimo cambia forma in accordo coi tempi. Credo che questo sia il problema principale dell’Italia: siamo per natura nostalgici, troppo legati a miti e ideologie passate, vecchi abusatori del termine “Maestro”. Credo che il cinema italiano abbia bisogno del coraggio di idee nuove, di scrivere un nuovo capitolo di storia invece che paragonarsi passivamente al precedente.
Oggi più che mai, siamo una bolla pronta a scoppiare: pochi veri autori, comunque troppo ripetitivi, troppa cautela da parte delle produzioni, e una generale sensazione di sfiducia e vecchiezza. Nella bolla del cinema italiano c’è puzza di chiuso. Tocca a noi, alla nuova generazione, aprire le finestre, proporre idee originali e nuove, abbattere una vecchia generazione incatenata dai propri paradigmi e creare qualcosa di nuovo.


12. In un ambiente ancora pieno di favoritismi, parentele e conoscenze: come si fa ad emergere?
C’è una frase che ripeto come un mantra a me stesso e alle persone che lavorano con me su un set: “piedi a terra, testa alta, e si vola”. Si emerge col coraggio delle proprie idee, si emerge restando autentici e creando con intelligenza, senza accettare compromessi che vadano a ledere la nostra arte ma sapendosi muovere fluidamente in questa giungla senza leggi. Alla fine, chi viene ricordato è solo chi ha avuto veramente talento, quindi se hai talento, non lasciarti scoraggiare e continua, saranno gli eventi a indicarti la strada. Adducendo altre due grandi citazioni, “Gnothi Seauton” e “Carpe Diem”.


13. Hai 23 anni. Ti senti mai sottovalutato per la tua età, o sopravvalutato per essere giovane?
A 23 anni sento di essere in un momento di forte svolta nella mia vita: sto entrando a tutti gli effetti nel mondo adulto, dove i sogni o muoiono o si trasformano in obbiettivi. Io li sto trasformando in obbiettivi. Purtroppo, non viviamo in una nazione che sopravvaluti i giovani, anzi tende a sfiduciarli. Ma essere sottovalutati è per me innanzitutto uno stimolo: devono essere le mie azioni a parlare per me, sono le mie opere a dimostrare il mio valore. E questo
è il momento della vita in cui dimostrare tutto questo.


14. C’è qualcosa che hai già dovuto sacrificare per la tua carriera?
È da quando ero adolescente che sacrifico possibilità in nome dell’arte, e non mi pesa. Non posso viaggiare quanto vorrei, né uscire ogni sabato sera, né adagiarmi nella comoda consapevolezza di un posto fisso ad aspettarmi, e per realizzare le mie opere devo fare lavori che non mi piacciono al fine di racimolare soldi. Ma è così che funziona questo mondo, e mi va bene, perché so dove porta questa strada. L’unica cosa che non si deve mai sacrificare, in nome di nulla, è il proprio benessere mentale: ma non date la colpa all’arte se siete infelici, quello è tutto un altro paio di maniche.


15. Se ti dessero oggi un budget illimitato e carta bianca, che film faresti?
Ho diverse sceneggiature pronte per l’eventualità, ma come sempre, niente spoiler. Ma se avessi davvero la libertà più completa di fare tutto ciò che voglio, probabilmente realizzerei l’Iliade come una miniserie di 12 episodi di 1h, uno per canto. È una delle opere più profondamente umane della storia (e come vale per tutta la mitologia greca, fra le più sottovalutate), e merita che ne venga restituita tutta la poesia anche in questa forma d’arte. Se mai incontrerò un produttore abbastanza pazzo, siate pronti all’eventualità.


16. Dove ti vedi tra dieci anni? Chi vorresti diventare?
Sono fedele a Jung in questo, voglio diventare ciò che sono. So di avere le carte in regola per “farcela”, ma fare arte non è una corsa, è una danza. Fra dieci anni, voglio aver masterizzato sempre più passi e saper danzare sempre meglio. Non ho paura di essere ambizioso e vi dico che in 10 anni voglio esordire in sala. Ho 3650 giorni per farlo, e ogni giorno che passa sono un centimetro più vicino all'obiettivo, perchè l’arte è una strada che si compie giorno per giorno. Piedi a terra, testa alta, e si vola!

 

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Commenti

Monica Valeria Russo
13 giorni fa

Complimenti Alvise, sono tua pro cugina Monica, figlia di Marisa, mi hai lasciato a bocca aperta tanta roba per i tuoi soli 23 anni!

Carlo
14 giorni fa

Bravo Alvise, bell'inizio. Aspetto il tuo seguito: so che hai grandi potenzialità in ogni campo e non arreretri mai davanti a niente; quindi...... A presto.....